UNA VOCE DALL’ALTRA SPONDA

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“LA STESSA TERRA TREMAVA SOTTO I NOSTRI PIEDI”
14 gennaio 2017
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LA TESTIMONIANZA DI UN SACERDOTE
14 gennaio 2017

UNA VOCE DALL’ALTRA SPONDA

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L’altra sponda del Piave. Anche di là c’erano ragazzi come i nostri, mandati a combattere per la loro patria. Nell’estate del 1990 mi recai in Alto Adige a cercare qualche superstite dell’esercito austriaco, e conobbi Joseph Eichner, classe 1894, 96 anni in quel momento. Ancora lavorava, ogni giorno, come falegname. A 99 anni avrebbe costruito la camera da letto per il nipote che si sposava, senza usare un solo chiodo. Del suo lungo e incredibile racconto, leggiamo il momento preciso in cui venne ferito.
(stralcio da “Ultime Voci dalla Grande Guerra”)

“Il 24 dicembre, vigilia di Natale, avvenne ciò che avrebbe cambiato il corso della mia vita militare.

La guerra non rende omaggio a feste. Anche quel giorno, come tutti i giorni, attorno a noi volavano proiettili di ogni genere.

Erano le tre e mezza del pomeriggio. Inginocchiato all’interno della trincea, con la testa rivolta verso il bordo della stessa, ero ben attento a non sporgermi, per evitare i proiettili che provenivano di fronte, quando una scheggia di srapnel mi raggiunse dietro l’orecchio destro e, dopo avermi attraversato il cranio, fuoriuscì dalla parte sinistra del naso.

Svuotato di energie, scivolai a terra. Non avevo perso conoscenza, e riuscivo ancora a seguire tutto ciò che avveniva attorno a me. Non provavo dolore: la mia testa era attraversata da una miriade di suoni, di musiche caotiche che si inseguivano e si accavallavano. Nessuno dei miei commilitoni si era accorto dell’accaduto. Cominciai a chiedere aiuto, ma la mia voce era debole, e nessuno dei miei compagni, anche volendo, avrebbe potuto in quel momento prestarmene.

Solo un po’ più tardi, quando venne dato l’ordine di lasciare il posto, qualcuno si ricordò:

“Ma qui c’era qualcuno che chiedeva aiuto! Chi era? …Ah, è Eichner!”

Immediatamente, accorsero due portaferiti che mi adagiarono su una barella. Un mio compagno mi si avvicinò e mi chiese:

“Eichner, mi regali la pipa? tanto a te ormai non serve più!” poi, accortosi dell’enormità della gaffe commessa,

“Sì — aggiunse — perché ora tu torni a casa e te la puoi ricomprare!”

I barellieri si incamminarono verso una grotta, dov’era dislocato il posto di medicazione. Ancora lucido, tentavo di spiegare a me stesso cosa fosse accaduto. Vedevo il sangue colarmi dalla ferita al volto, e non riuscivo a capacitarmi di come, trovandomi rivolto verso il muro della trincea, io fossi stato ferito davanti.

Nella grotta ricevetti il primo, immediato soccorso. Ancora non riuscivo a raccapezzarmi: se la ferita era sul viso, perché il medico mi stava applicando le bende dietro l’orecchio?

Di lì a poco, venni caricato su una slitta, di quelle usate in campagna per il trasporto del fieno, quindi su un biroccio di legno, e infine su un autocarro fino a Pergine, in Valsugana. Qui venni caricato su un vagone e, il 1 ° gennaio del 1918, approdavo finalmente a Budapest, che era a quell’epoca una città dell’Impero Austro-Ungarico, ed entravo in ospedale. Erano trascorsi otto giorni, otto giorni senza mai mangiare, senza bere, senza mai soddisfare bisogni fisiologici di alcun genere.

Respiravo, e a fatica, solo attraverso la bocca. D’altronde, anche se qualcuno avesse tentato di alimentarmi, non gli sarebbe stato in alcun modo possibile; le ossa della mascella, del palato, del naso, erano fracassate, e ogni frammento si muoveva per suo conto.”

Joseph avrebbe lavorato fino a 103 anni, accudito dalla figlia Anna; poi, divenuto quasi cieco e rattristato per il fatto di non poter più lavorare, deperì sempre più, fino alla morte avvenuta nel 1999, a 105 anni.