PIETRO E LUI (QUELLO SCHIAFFO A MUSSOLINI)

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PIETRO E LUI (QUELLO SCHIAFFO A MUSSOLINI)

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di Valido Capodarca

Nella mia famiglia, si era sempre saputo che mio nonno, Pietro Capodarca, durante la Prima Guerra Mondiale dormiva sotto la stessa tenda con Benito Mussolini, ma egli non ci aveva mai raccontato questo episodio. Ne venni a conoscenza solo sette anni fa, da un signore ancora vivente, che ora ha 91 anni, si chiama Giuseppe Vecchiarelli e vive a Pesaro. Egli, da bambino, diciamo intorno al 1934, assisteva alle discussioni fra suo padre Francesco e nonno Pietro. Fu lui a mostrarmi i suoi diari manoscritti, nei quali aveva raccontato la sua vita, regalandomi quelle pagine dedicate a questo episodio, che devo per forza riassumere.
Nonno Pietro e Francesco Vecchiarelli vivevano a Porchia (AP). Francesco faceva il falegname, ed era un accanito e fervente fascista, tanto da aver partecipato alla marcia su Roma. Pietro, invece, era contadino. Era un uomo grande e forte, tanto che a Porchia si raccontano ancora le sue leggendarie prove di forza, come quando da solo, con la forza delle spalle, resse una trebbiatrice che si stava capovolgendo, o quando sollevava con la massima disinvoltura un quintale di cemento, 50 chili sotto ogni braccio. Godeva di tale carisma che quando a Porchia scoppiava una baruffa, nessuno chiamava i carabinieri, ma dicevano: andate a chiamare Pietro! Si sa che i fascisti, all’epoca, curavano i dissenzienti a olio di ricino, ma nessuno di essi, pur conoscendo le idee politiche del nonno, osò provarci. Dopo la Prima Guerra Mondiale aveva lavorato molti decenni come bracciante nella Campagna Romana; con i guadagni avrebbe comprato un piccolo terreno a Porchia, che avrebbe lavorato fin quasi alla morte avvenuta a 91 anni nel 1982.
Nonno Pietro, essendo contadino, spesso aveva necessità di recarsi da Francesco per farsi riparare una zappa, costruire un rastrello… e mentre i lavori andavano avanti, il piccolo Giuseppe ascoltava i discorsi dei due grandi, con suo padre Francesco che cercava di convincere nonno Pietro a prendere la tessera del partito fascista. “Se me lo potessi permettere – rispondeva nonno Pietro – prenderei quella del partito socialista. Voi non sapete chi è quest’uomo che voi adorate tanto, ma vedrete dove vi porterà. Io l’ho conosciuto di persona, per aver dormito con lui sotto la stessa tenda, durante la Prima Guerra Mondiale.
Eravamo in 13, cioè il caporal maggiore Mussolini e noi 12 bersaglieri semplici. Mussolini comandava con la paura e la prepotenza: tu mi lavi le camicie, tu mi stiri i pantaloni; tu facevi il barbiere a casa? Vieni qua e fammi i capelli. Tutti, per paura, ubbidivano. Io, trattandosi di un abuso e una prepotenza, mi rifiutavo sistematicamente di assecondarlo, e questo non faceva che irritare Mussolini, vedendo che c’era chi osava resistergli. Aveva anche tentato di prendermi con le buone, chiedendomi di diventare amici, perché lui mi stimava in quanto non ero un pecorone come gli altri. Con me si era preso una fissazione: farmi lucidare le sue scarpe.
All’ennesimo ordine, avendogli io voltato le spalle senza calcolarlo, mi afferrò al braccio sinistro e mi strattonò. Nel sentirmi quelle mani addosso, istintivamente mi voltai e senza pensarci nemmeno un secondo gli mollai una sventola in faccia, sulla guancia sinistra. Mussolini, fra lo stupito e l’intontito, si massaggiò la parte colpita, mi guardò perplesso e “Ma tu fai sul serio!” mi disse. Ma la cosa non finì lì”.
“Dopo qualche giorno – continua nonno Pietro, nel diario di Giuseppe Vecchiarelli – nonostante lo schiaffo Mussolini tornò alla carica. Allora, con tutta calma, mi sfilai le mie scarpe e le misi davanti a Mussolini. Bene – gli dissi – io pulirò le tue scarpe dopo che tu avrai pulito le mie.
Mussolini si mise all’opera d’impegno e, dopo dieci minuti, mi consegnò le mie calzature, pulite. A quel punto, fedele alla promessa, anche io lucidai le scarpe a Mussolini e glie lei porsi. Alzandole al cielo come un trofeo, Mussolini esclamò: “Hai visto che sono riuscito a fartele pulire?” “Si, gli risposi, ma non dire in giro che tu prima avevi pulito le mie, altrimenti ci perdi la faccia”.
Dopo qualche settimana, Mussolini venne trasferito su ordine di Roma ed io venni promosso caporale, prendendo il suo posto. Il primo ordine che diedi, nelle mie nuove vesti di comandante, fu: “Da oggi, ognuno si pulisce le sue scarpe!”