«Le guerre intraprese dagli Stati Uniti sono state un grande errore!» Patrick Sherbo, reduce del Vietnam e testimone oculare dell’11 settembre, in visita a Barletta

Al sorger del sole del 17 di ottobre 1942, il 14º reggimento, guidato dal colonnello Antonio Ajmone Cat e supportato da una colonna di artiglieria ippotrainata, il 3º squadrone carribasato su carri L6/40 ed il battaglione Camicie Nere divisionale[2] (81°), muoveva verso Primislje in una normale operazione di controllo quando, nelle prossimità del fiume Korana, un manipolo di partigiani Jugoslavi esplosero dei colpi di grosso calibro dalle alture circostanti, uccidendo subito un ufficiale e un cavalleggero e ferendo diversi uomini e cavalli. Dopo un leggero ripiegamento del 14°, che però ha dato tempo ai partigiani di riorganizzarsi e di appostarsi nelle alture vicine, alle 13.00, il reggimento si mosse in formazione a losanga, rinforzato dallo /40squadrone di supporto con carri e pezzi d'artiglieria.
Alle 14.30, questo raggiunse Poloj e si schierò nella valle in ordine di combattimento, poiché le alture erano tenute dai partigiani, e subito iniziò un violento scontro a fuoco. Alle 17.00 si accentuò la pressione avversaria, così il generale Lomaglio, comandante della 1ª Divisione Celere "Eugenio di Savoia"[2], ordinò dal comando di proseguire per Primisljee mandò sul posto il generale Mazza, vicecomandante la divisione. Alle 18:30 Lomaglio, col far del buio, decise di far ritirare le forze a Perjasica, ma ormai i partigiani aspettavano questa mossa. Il colonnello Cat mandò in scoperta il primo squadrone del capitano Antonio Petroni con lo squadrone comando e quello dei mitraglieri.
Nel frattempo il terzo squadrone, sfoderate le sciabole, si lanciò alla carica sui partigiani che scendevano dalle alture a sinistra, mentre il secondo faceva lo stesso dal lato opposto; in retro guardia il quarto squadrone del capitano Vinaccia caricò ripetutamente per coprire la ritirata dell' artiglieria e degli automezzi: il capitano cadde nello scontro, ma le perdite partigiane furono nettamente superiori. I pochi partigiani rimasti, a questo punto, decisero di organizzare un terzo sbarramento, ma una poderosa carica di sciabole riuscì a spezzare l'accerchiamento formatosi e a metterli in fuga.
A fine battaglia, in tarda serata, il 14º Cavalleggeri contava 129 caduti e una settantina di feriti, ma le perdite partigiane erano abbastanza alte da determinare per l'Italia non solo una vittoria strategica, ma anche una vittoria tattica. I cavalleggeri rientrarono vittoriosi la mattina del 18 ottobre a Perjasica, accolti dagli alti comandi con tutte le glorie, nonostante l'amarezza per aver perduto nello scontro il regio stendardo che accompagnò quel reparto durante tutta la sua storia.
La carica di Poloj fu una azione di grande importanza, in tutti gli aspetti, pur non essendo scaturita dalla autonoma decisione del suo comandante ma quasi imposta dall’alto, per eseguire un ordine; eseguita in maniera esemplare dai soldati italiani, con diversi atti di eroismo individuali, che valsero loro 12 Medaglie d'Argento al Valor Militare, altre di Bronzo e Croci di Guerra ad ognuno.
Alessandria rientrò come gli era stato ordinato ma pagando un alto prezzo in vite umane: 129 morti e una settantina di feriti che, secondo analisti militari e strateghi, avrebbero potuto essere evitate o quantomeno ridotte se il combattimento fosse stato condotto liberamente dal comandante sul campo. Difatti su questa carica, dopo un galvanizzamento generale, venne quasi immediatamente steso un velo di imbarazzato silenzio. Divulgare completamente le circostanze in cui avvenne avrebbe forse messo in luce le manchevolezze dei comandi e la leggerezza con cui venivano impartiti gli ordini.
Il tenente Giuseppe Carli e la carica di Poloj
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«Le guerre intraprese dagli Stati Uniti sono state un grande errore!» Patrick Sherbo, reduce del Vietnam e testimone oculare dell’11 settembre, in visita a Barletta

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di Tommaso Francavilla

http://www.barlettaviva.it/notizie/le-guerre-intraprese-dagli-stati-uniti-sono-state-un-grande-errore


Testimoni dell’11 settembre 2001, in cui le torri del World Trade Center furono rase al suolo, i coniugi Patrick e Maxine Sherbo, dopo una lunga vacanza attraverso Sicilia, Calabria, Basilicata, giungono in Puglia e passano da Barletta, dove hanno alcuni amici barlettani. Per l’occasione, Patrick ha donato a Ruggiero Graziano, presidente ANMIG (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di guerra), un elmetto originale usato dall’esercito americano in Vietnam, che andrà ad arricchire la “Casa della Memoria Storica”, una raccolta permanente di cimeli e documenti di guerra, dove chiunque potrà contribuire. Incontro i coniugi Sherbo in compagnia del loro amico Giuseppe Bianco di Sammichele di Bari.

Patrick, dov’eri l’11 settembre 2001?

«Erano le 8.30, ero nel mio ufficio di Brooklyn, al quarantesimo piano. Dal mio ufficio, che affacciava sull’East River, avevo di fronte il World Trade Center. Ricordo che, appena arrivato in ufficio, avevo posato la valigetta sulla scrivania e, giratomi verso la grande finestra, vidi il primo aereo entrare nella prima torre».

Quali furono le tue sensazioni?

«Ero sotto shock, mi sembrava la scena di un brutto film, non mi sembrava vero potesse accadere una cosa del genere negli Stati Uniti. Uscendo dall’ufficio, vidi migliaia di persone attraversare il ponte di Brooklyn a piedi, stordite, molte di loro erano coperte di polvere».

Maxine, tu dov’eri quel giorno?

«In quel momento ero in camera da letto, quando Peter mi telefonò per avvisarmi dell’accaduto. Nei due anni a venire, non sono riuscita ad avvicinarmi a Ground Zero, mi faceva stare male. Tra i vigili del fuoco intervenuti nei soccorsi, avevamo un amico, reduce del Vietnam, il quale per due settimane incessantemente ha prestato il suo aiuto per rimuovere le macerie a Ground Zero. A Long Island, c’è un sobborgo, Garden City, abitato da persone che lavoravano nell’alta finanza; molti di essi lavoravano nelle torri gemelle. Dopo la tragedia, in quel sobborgo sono rimasti parecchi orfani».

Patrick, raccontami della tua esperienza durante la Guerra del Vietnam.

«Dai 23 ai 25 anni, ho prestato servizio nell’esercito, in seguito nella riserva. Durante questo periodo, avevo 26 anni, fui richiamato. Fummo addestrati in una base della Virginia. Dopo l’addestramento, fui inviato nella base di Qui Nhon (Vietnam Centrale-nda). Laggiù ero autista di mezzi militari da trasporto».

Durante il suo servizio in Vietnam, sei stato coinvolto in combattimenti?

«Sono stato coinvolto in un’imboscata. Guidavo un camion che, con altri mezzi militari, formavano un convoglio di 20 automezzi, diretti verso la base di Pleiku. Lungo il sentiero, fummo bersagliati da colpi di mortaio e razzi Rpg dai vietcong, che bloccarono il convoglio. Immediatamente, fu richiesto l’appoggio aereo e il nostro convoglio – dotato di mitragliatrici di pesanti ed una mitragliatrice Browning calibro 50 – rispose al fuoco avversario».

Quante vittime ci furono, alla fine di quell’imboscata?

«Quattro nostri commilitoni furono uccisi. Invece, tra i vietcong, non abbiamo mai saputo quanti furono i caduti. A volte, i vietcong portavano via i cadaveri dei loro commilitoni, onde evitare che noi sapessimo quanti ne avessimo uccisi sul campo di battaglia».

Sei stato ferito in quell’agguato?

«Nel caos della battaglia, presi il posto di un mio commilitone ferito, posizionandomi alla sua mitragliatrice. Ad un tratto, un razzo Rpg esplose vicino a me e le schegge mi ferirono le braccia. Per questo, ricevetti la medaglia Purple Heart (decorazione riservata ai soldati feriti-nda)».

Cosa pensi delle guerre in Iraq e Afghanistan, intraprese dagli Stati Uniti?

«Dal Vietnam in poi, tutte le guerre intraprese dal mio Paese sono state un grande errore!».


Patrick e Maxine Sherbo vivono a Hicksville, sobborgo di Long Island, sono sposati da 44 anni, hanno due figli, Michael e Jamie. Patrick ha 71 anni, è stato dirigente della Lilco (Long Island Lighting & Co) ed è stato presidente della associazione “Vietnam Veterans Of America”. Maxine 67 anni ed è insegnate di letteratura inglese e consulente di pedagogia.

La guerra del Vietnam 
fu il conflitto combattuto a partire dal 1960 (data di costituzione del Fronte di Liberazione Nazionale filo-comunista), che si concluse il 30 aprile 1975. La guerra si svolse prevalentemente nel territorio del Vietnam del Sud. La guerra vide contrapposte le forze insurrezionali filo-comuniste, sorte in opposizione al governo autoritario filo-statunitense costituito nelVietnam del Sud, e le forze governative del Vietnam, creato dopo la conferenza di Ginevra del 1954, successiva alla cosiddetta guerra d’Indocina contro l’occupazione francese.

Perdite: Stati Uniti: 58.272 morti, 303.644 feriti, 1.719 dispersi – Vietnam del Nord e Viet Cong: 1.100.000 morti

Fonte Wikipedia