IL CORAGGIO DI UNA GIOVANE SPOSA

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IL CORAGGIO DI UNA GIOVANE SPOSA

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di Valido Capodarca
La foto, del 1940, mostra zia Lina Guidotti, allora 22enne, e mio cugino Emanuele, di 2 anni, ed era stata fatta per mandarla a Francesco Orazi (zio Checco), fratello maggiore di mia madre Maria, mandato da Mussolini a combattere in Africa Settentrionale. Zio Checco sarebbe stato mandato in licenza solo nel giugno del 1943, in tempo per mettere in cantiere l’altra figlia, mia cugina Rosalia, e questo sarebbe stata la sua salvezza.
L’8 settembre del 1943, con l’armistizio, zio Checco riusciva in qualche modo a imbarcarsi e tornare in Italia ma, al suo sbarco a Napoli, fu catturato dai tedeschi che lo portarono presso una caserma di Ancona, per destinarlo a un campo di concentramento in Germania. Fu a questo punto che nonno Fefè e zia Lina, venuti a conoscenza del fatto che il loro rispettivo figlio e marito si trovava in quella caserma, organizzarono l’espediente che avrebbe dovuto portare alla sua liberazione. Era il febbraio del 1944.
Nonno Fefè conosceva una signora di Pedaso intima amica di un generale tedesco. Contattata questa signora e promettendole in cambio un quintale di grano, (l’equivalente di 4 stipendi di un impiegato comunale) riuscivano, tramite la stessa, a farsi dare tre “passi” per recarsi a fare visita, in caserma, a zio Checco. Con essi in tasca, zia Lina e la signora, in treno si recavano presso la caserma. Attesero il momento in cui stava per avvenire il cambio della guardia e, poco prima della fine del turno, si presentarono e, esibendo due dei tre passi in loro possesso, entrarono.
Zia Lina, al di sotto dei vestiti che coprivano il pancione al cui interno stava ancora mia cugina Rosalia, aveva accuratamente nascosto un completo di abiti borghesi da uomo.
Appena zio Checco, chiamato per la visita dei parenti, fu loro davanti, con la complicità degli altri soldati prigionieri che facevano da schermo con i loro corpi, zia Lina estrasse gli abiti maschili da sotto ai suoi e li diede al marito il quale si cambiò velocemente.
A questo punto, il terzo “passi” passò nelle mani di zio Checco, dopodiché, assicuratisi che alla porta fosse già avvenuto il cambio della guardia, si incamminarono verso l’uscita. Erano entrate due donne, uscivano due donne e un uomo. Le sentinelle alla porta, non essendo le stesse che le avevano viste entrare, non sospettarono di nulla e li lasciarono passare.
Il programma completo, tuttavia, prevedeva la ripetizione della recita il giorno seguente, per liberare anche un amico di zio Checco. Purtroppo, quella stessa notte avvenne qualcosa che determinò una brusca e veloce partenza dei tedeschi e di tutti i loro prigionieri. Nessuno di essi, compreso l’amico di zio Checco, sarebbe più tornato. Il non essere riuscito a salvare anche l’amico, fu motivo di turbamento, per mio zio, per tutta la vita.
Ripreso il treno in senso inverso, entrambi gli zii arrivarono alla loro casa a Rocca Monte Varmine.
Mio cugino Emanuele oggi 77enne ma allora di poco più di cinque anni, conserva ancora vivo il ricordo del loro arrivo. Dall’aia della casa, egli vide venire su dalla stradina che congiungeva la casa alla vicina provinciale, sua madre e suo padre, che recava in mano una valigia di cartone.
Anziché gettare le braccia attorno al collo del padre, egli si gettò sulla valigia, la aprì con la curiosità tipica dei bambini e grande fu la sua delusione quando la trovò vuota.
“Non mi avete riportato niente!” piagnucolò.
“Ti ho riportato tuo padre, non ti basta?” fu la risposta di zia Lina.
Zio Checco sarebbe poi morto a 74 anni, nel 1989; zia Lina gli sarebbe sopravvissuta 24 anni, morendo 95enne, due anni fa.