I MORTI AUSTRIACI…LEGATI AI CANNONI

12010742_768399853289035_4385840671177174558_o
E I NOSTRI SOLDATI IN LIBIA? COSA FACEVANO NEL FRATTEMPO?
4 gennaio 2017
12010742_768399853289035_4385840671177174558_o
12 settembre 1919 – L’ Impresa di Fiume
4 gennaio 2017

I MORTI AUSTRIACI…LEGATI AI CANNONI

12010742_768399853289035_4385840671177174558_o

di Valido Capodarca

Abbiamo già ascoltato la testimonianza di Pietro Mernichini relativa alla battaglia aerea di Francesco Baracca. Ascoltiamolo ora mentre ci racconta l’11^ battaglia dell’Isonzo. Una testimonianza forse unica e da non dimenticare. (stralcio da “Ultimre voci dalla Grande Guerra”)

“In una nuova adunata, il comandante di batteria ci diede un’allucinante comunicazione:

“Corre voce che i nostri fanti, allorché il nostro fuoco verrà interrotto, siano intenzionati a rifiutarsi di balzare all’attacco. Ebbene, se ciò dovesse avvenire, abbiamo l’ordine di cominciare a tirare sui nostri!”

Nel generale sbigottimento, si levò la voce del tenente Gaudenzi, di Roma.

“Sappia fin d’ora, signor capitano, che nessuno dei nostri artiglieri eseguirà quest’ordine. Molti di noi hanno laggiù tra quei fanti, chi un fratello, chi un cugino, chi un amico…”

La lotta continuava, terribile. I nostri genieri gettavano ponti sul fiume e gli Austriaci, dall’alto, glie li buttavano giù a cannonate. Qualche battaglione di bersaglieri riuscì a passare, ma solo per essere massacrato sulla riva opposta, con la via del ritorno preclusa dal crollo dei ponti alle loro spalle.

Finalmente, a prezzo di tanto sangue e tante giovani vite falciate, i nostri sfondarono e avanzarono. Al di là del fiume vennero fatte prigioniere, addirittura, seicento donne che avevano collaborato con il nemico aiutandolo a resistere.

Mentre i nostri avanzavano e conquistavano nuovo terreno, si avvicinò a noi che, esaurito il nostro compito, eravamo rimasti fermi ad assistere, una vecchina del paese.

“Sì, gli Austriaci se ne sono andati — commentò — ma presto torneranno e invaderanno l’Italia per un largo tratto. Alla fine però verranno cacciati di nuovo indietro, e l’Impero Austriaco si restringerà al punto che basterà un cavolo a coprirlo”.

“Ma tu, nonna — chiedemmo incuriositi — come fai a sapere queste cose?”

“È tutto scritto in un libro che ho io!”

Era, ripeto, l’estate del ’17; tutto ciò che poi sarebbe avvenuto, dall’ottobre dello stesso anno fino al novembre dell’anno successivo, era ancora futuro.

Restammo tre giorni fermi a Prepotto, tre giorni che noi, ormai liberi da pericoli, dedicammo all’esplorazione dei dintorni, alla scoperta degli effetti della battaglia. Risalimmo la collina di fronte. Sotto un faggio, steso al suolo, supino, un giovane tenente italiano sembrava dormisse. Accanto a lui, coricato su un fianco, un suo coetaneo e pari grado tedesco.

A pochi passi, sventrato dai nostri tiri, un osservatorio austriaco con alcuni cannoni ormai muti e con i serventi, cadaveri, riversi su di essi.

Ci avvicinammo, e ciò che vedemmo ci riempì di orrore: quei poveri ragazzi erano stati tutti legati ai loro pezzi perché non potessero fuggire. Questo, è la guerra!

I soldati della Sanità effettuavano la loro pietosa opera che consisteva, il più delle volte, nella raccolta di singole membra sparpagliate: di qua una testa, di là una mano, una gamba, fino a raschiare i tronchi degli alberi impiastricciati da schizzi di cervella.

Nella fretta imposta dalla gran mole di lavoro, essi cercavano di ricomporre e allineare, come orribili puzzle, dei corpi completi, creando a volte delle figure grottesche; nella fila dei cadaveri notammo, ad esempio, quello di un soldato enorme — sarà stato due metri — con accostate due braccine ridicolmente esili, che non potevano esser certo sue.

Come potrà oggi notare chi passa in rassegna le scalinate del Sacrario di Redipuglia, il sessanta per cento dei corpi non ha nome. Dopo la raccolta, infatti, i corpi venivano tinteggiati con pennellate di calce, per ritardare la decomposizione poi, una volta gettati nelle fosse, venivano irrorati con degli acidi che scarnificavano gli scheletri. Dopo la guerra, i corpi vennero riesumati per essere traslati nei vari Sacrari. Quelli che vennero trovati con al collo la piastrina di riconoscimento, ebbero un nome, gli altri restarono militi gloriosi, sì, ma “ignoti”.

La testimonianza di Menichini è la più lunga del libro (ben 10 pagine) e una delle più crude e lucide. Mi ripropongo di pubblicare altri stralci.