Savino Roggio nasce il 2 maggio 1922 a Barletta in via s. Antonio Abate, da Michele e Sabina Leone ed è terzo di sei fratelli. All’età di 8 anni, Savino viene avviato al mestiere di calzolaio. Nel 1939 scoppia la guerra e nel gennaio 1942 Savino, ventenne, è arruolato nel 33° Reggimento Fanteria, presso il 2° Reggimento Carristi di Parma, divenendo pilota di carro armato. L’8 settembre arriva l’armistizio e gli alleati nazisti diventano nemici. Il 9 settembre 1943 è catturato dai nazisti ed inviato in un campo di prigionia in Germania presso lo Stalag III C, dove è impiegato come lavoratore coatto in una fabbrica di munizioni.
Lo Stalag III C
Era uno dei tanti campi di prigionia nazisti per i soldati alleati. Si trovava in una pianura vicino al villaggio di Alt Drewitz, nello stato di Brandeburgo, a circa 80 km ad est di Berlino. Inizialmente, servì da luogo di internamento per diverse migliaia di soldati e sottufficiali polacchi, francesi, britannici, jugoslavi e belgi. Dal 1943, vi furono internati anche dei prigionieri di guerra italiani. La maggior parte dei militari sovietici (fino a 12 mila) furono uccisi o fatti morire di fame. Molti dei prigionieri di grado inferiore, furono mandati negli Arbeitskommandos (distaccamenti di lavoro) ed occupati nell’industria e nelle fattorie della regione, tra cui Savino Roggio. Il 1° dicembre 1944 nello stalag si potevano contare 2.036 prigionieri americani, 631 belgi, 1.416 britannici, 17.568 francesi, 1.046 italiani, 1.591 serbi e 13.727 sovietici. Il 31 gennaio 1945 il campo fu liberato.
La liberazione di Savino Roggio e il rientro in Italia
Savino è trattenuto dagli alleati fino al 27 agosto 1945, data in cui rientra in Italia e congedato nel 1946. Subito dopo, riprende il lavoro di calzolaio a Barletta, avviando una bottega artigiana di scarpe su misura in via Venezia. Il 27 ottobre 1949, Savino sposa Grazia Dicorato, dalla quale ha cinque figli: Michele, Giuseppe, Sabina, Angela e Concetta. In seguito, avvia il calzaturificio “Samigir” nella zona industriale di Barletta. Nel 1960, Savino è decorato con la Croce al Merito di Guerra. Negli anni 1981/82 Savino e il figlio Michele rilanciano la squadra della “ A. S. Barletta Calcio”, contribuendo al passaggio dalla serie C2 alla C1 e continuando la sua attività imprenditoriale fino alla pensione. Il 2 maggio 2022, Savino Roggio ha compiuto 100 anni e per l’occasione mi reco a casa sua per intervistarlo assieme a Ruggiero Graziano, presidente ANMIG / ANCR sezione Barletta, alla presenza della moglie Grazia, della figlia Maria Sabina e della nipote Angela Cristallo.
Signor Roggio, dov’era nel gennaio del 1942?
«Ero a Parma, col mio “Reggimento Carristi”, in attesa di essere inviati a combattere in Nord Africa. Non vedevo l’ora di combattere per il mio Paese».
Per quale motivo?
«Volevo dare il mio contributo alla Patria. Siamo stati educati all’amore verso il nostro Paese e verso il Re».
Cosa pensava di Benito Mussolini?
«Ci dava un senso di sicurezza e assicurava una giustizia immediata, al contrario di oggi».
Invece col suo Reparto siete rimasti a Parma
«Si, purtroppo non fummo inviati in Africa. Poi arrivò l’8 settembre e l’armistizio. Vedevo molti militari scappare e disertare. Il 9 settembre fummo catturati dai tedeschi, caricati su vagoni bestiame e inviati in Germania. Appena arrivati al campo (stalag -ndr), fummo schedati e fotografati. Io fui assegnato come lavoratore coatto presso una fabbrica di munizioni, accanto al nostro campo di prigionia c’era un campo di sterminio, coi forni crematori».
Come si viveva in quel campo di prigionia?
«La mattina andavamo a lavorare in fabbrica e la sera tornavamo al campo, dove ci davano da mangiare qualche patata e una piccola razione di pane. Nella fabbrica c’erano anche operai tedeschi e il capo reparto della fabbrica in cui lavoravo era un tedesco sui 60 anni, che mi prese in simpatia, dato che avevo la stessa età di suo figlio disperso in guerra. Per questo motivo, mi dava qualcosa da mangiare in più, di nascosto».
Ha visto molti suoi commilitoni morire di stenti o soprusi?
«Si, i loro cadaveri venivano fatti sparire nei forni crematori del vicino campo di concentramento. Vivevamo in piccole baracche senza servizi igienici e lungo il muro di cinta del campo c’era un fossato dove tutti noi prigionieri andavamo ad espletare i nostri bisogni fisiologici. Molti venivano sparati e uccisi mentre espletavano i loro bisogni dai soldati tedeschi di guardia, per gioco o per divertimento. I loro cadaveri restavano nel fossato, poi venivano fatti sparire nel forno crematorio».
Ha mai avuto paura durante la prigionia?
«Non ho mai avuto paura».
Si ricorda della liberazione del campo?
«I tedeschi seppero che gli alleati stavano per arrivare e scapparono. Da li a poco, arrivarono i sovietici e gli americani. Noi non sapevamo dove andare. Poi, misero noi italiani sui treni e tornammo in Italia. Le mie tappe di ritorno furono Torino, Verona e Parma. Da Parma, presi un treno per tornare a Barletta».
Dopo la guerra, ha mai più rivisto i suoi compagni italiani di prigionia?
«No».
Come si viveva a Barletta?
«Barletta della mia gioventù era un paese prettamente agricolo e si viveva bene».
Signor Roggio, cosa pensa della guerra in Ucraina?
«Penso tutto il male possibile. Putin meriterebbe di essere condannato e messo in galera».
Si ringrazia Ruggiero Graziano, presidente della sezione ANMIG (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra) e ANCR (Associazione Nazionale Combattenti e Reduci)di Barletta.
Si ringrazia il Cav. Dott. Michele Grimaldi, direttore dell’Archivio di Stato Bari – Barletta – Trani.
A cura di Tommaso Francavilla