Giuseppe Daniele, nato a Cherasco, classe 1887, contadino

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Giovanni Allinio, San Michele di Cervasca, classe 1895, contadino
4 gennaio 2017
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Giovanni Toselli (nato a Peveragno, classe 1887, muratore)
4 gennaio 2017

Giuseppe Daniele, nato a Cherasco, classe 1887, contadino

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dal web

Ma poi è venuta la guerra, io ero di terza categoria come capofamiglia. Hanno perduto ‘1 Ludin, una montagna, forse era del 1916, allora ci hanno richiamati anche noi di terza e siamo andati a riprendere quella montagna, ‘l Ludin. Poi al Crestarossa, altra montagna del Veneto, altra battaglia. Poi l’Ortigara, nel Trentino, ah matot…‘, non so come sono riuscito a togliermela, a mucchi i morti, hanno cominciato a salire in mattinata da Bassano i tedeschi e ci hanno preso su un fianco, ne hanno fatto una strage.
Che cosa pensavamo noi di quella guerra? Non avevamo nessuna voglia di farla, per forza andare. A noi non interessava la guerra, noi eravamo poveri diavoli, a noi non conveniva. Interessava a qualcuno per farsi i soldi, ma non a noi. « Andiamo là a perdere tempo e ancora a farci ammazzare», ecco che cosa ci dicevamo.
E’ sull’Ortigara che ho visto la guerra piú brutta. Là i colpi di mortaio cadevano e facevano tremare la terra. Una notte siamo usciti dalla trincea, ero con la 15° compagnia del battaglione Borgo San Dalmazzo. Abbiamo raggiunto una valletta che era piena di morti. Abbiamo costruito una lunga morena con i morti, abbiamo tolto i morti e ci siamo ammucchiati al loro posto. Poi al mattino, alle sette, arriva l’ordine di partire all’assalto. «Fuori», grida il capitano. «Prima esce lei, poi usciamo noi», gli dicono i soldati. Le mitraglie dei tedeschi sparavano a gran forza raso terra. Esce il capitano, esce la prima ondata di alpini, e muoiono tutti. Io ho tardato un attimo: «Se ho da morire muoio qui», mi sono detto. Poi la nostra artiglieria ha cominciato a bombardarci, e anche i tedeschi hanno preso a bombardarci. I nostri ci bombardavano per farci uscire dalla trincea, per spingerci all’assalto. Neh che guerra falsa! In quel batibói (scompiglio) ne sono morti migliaia e migliaia. Mah! Quante volte mi sono nascosto sotto i morti per ripararmi dalle schegge degli shrapnel!
Com’erano i nostri ufficiali? Ce n’erano dei buoni e dei cattivi. I cattivi ogni tanto li trasferivano di reparto perché se no i soldati li ammazzavano. Il soldato stava sempre zitto, ma l’ufficiale cattivo aveva paura di essere ammazzato. Non ci siamo mai ribellati, non eravamo mica capaci di ribellarci. Non avevamo nemmeno piú fame in trincea, tanta era la paura, tante erano le sofferenze. Avevamo sempre tanta sete. Oh, dell’Ortigara mi ricordo sempre.
Poi una volta sono andato avanti con trenta esploratori, c’era stato un combattimento e ne avevo visti a cadere tanti, a cadere giú come le mosche. Siamo finiti in una buca, gli austriaci ci hanno accerchiati, allora abbiamo alzato un fazzoletto, siamo caduti prigionieri. Anche gli altri della mia compagnia sono caduti prigionieri.
1 primi giorni siamo vissuti con un mestolo di brodaglia. Poi in treno ci hanno portati in Ungheria. Rape alla mattina e alla sera, nient’altro. Piú niente pancia avevamo, ne sono morti tanti dei nostri, tutte le mattine erano trenta o cinquanta i nostri morti: tanti morivano senza male, come un pollastrino quando ha la malattia. Facevamo cuocere le bucce delle patate, delle rape. Io vivevo a cicoria. Mi dicevo: «Cosí non posso piú andare avanti».
Un giorno arriva l’ordine: «Chi vuole andare in Galizia? Occorrono sessanta uomini a lavorare in una fattoria di millecinquecento giornate». Allora mi sono trascinato in fila. L’indomani siamo saliti sul treno, un giorno e una notte, siamo arrivati a Leopoli, vicino alla Russia. Lí sono andato un’altra volta a chiedere la carità, l’avevo chiesta da piccolo la carità e l’ho chiesta da alto, andavo a bussare alle porte delle case, mi dicevano: «Ceta, ceta, aspetta, aspetta», mi davano una fetta di pane nero o una patata.
Una volta ho imbattuto in una casa dove c’era un medico, mi ha dato una bella pagnotta di pane bianco, mi ricordo, l’ho baciata quella pagnotta prima di mangiarla. Mi dicevo: «Oh, ‘sta volta mi riprendo un po ». L’ho mangiata, non mi ha nemmeno toccato le budella tanto ero vuoto. « Se veniste in due a segare la nostra legna … » mi ha detto il medico. « Sí sí, io chiamo un mio compagno». Alla sera siamo andati là a segare la legna, un’ora e mezza, e finito il lavoro ci ha dato una buona minestra di orzo. E dopo la minestra una bella e buona polenta. Noi mangiavamo tutto. Allora ci ha fatto preparare ancora una purea di patate. Iste, non riuscivamo piú a tirare il fiato. Cristolu, avremmo mangiato fino a scoppiare.
L’indomani siamo andati a lavorare per la prima volta alla fattoria. Là c’erano delle pentole di patate bollite, e noi giú a mangiare. Un mio amico aveva già la pancia gonfia, e io a dirgli: «Stai attento che crepi». E’ rimasto lí con una patata in bocca, morto, si sono strappate le budella, le nostre budella erano fini, sottili, patite.
Nella fattoria piano piano mi sono ripreso con le forze, ero contento, mi sentivo rivivere. Poi è finita la guerra e il padrone della fattoria voleva che restassimo là: «No io non ci sto in questi paesi, a mangiare patate e cavoli». Ah, era brava gente, contadini, bravi sicuro. Mi ricordo sempre, una volta ero seduto lungo una strada e mangiavo una patata, è passata una donna, mi ha guardato, e si èmessa a piangere. Eh, era piú duro fare della fame che fare la guerra! Tra i prigionieri i piú smilzi resistevano, ma i piú grossi si sgonfiavano e morivano tutti.
Quando sono tornato a casa ho trovato la solita miseria: ero pulito, a zero. Gli altri si erano fatti i soldi e noi a zero. Mia madre ormai era sola, era vissuta di stenti, aveva tirato avanti con il mio piccolo sussidio, l’avevano truffata col sussidio. La «Combattenti» era d’accordo con il Distretto, avevano rubato cinquanta lire a mia madre, a ogni madre di soldato avevano rubato cinquanta lire, l’ho proprio constatato io quando sono tornato dalla guerra, e le ho pretese quelle cinquanta lire. Cbe fregun… .
Ho subito ripreso a fare il manovale nelle cascine a una lira al giorno. All’estate andavo col ferro a tagliare il grano, le giornate erano lunghe, due lire al giorno, con due lire si comprava giusto una camicia. Lavorando guadagnavo i soldi per comprare la crusca per i maiali, e mantenevo mia madre. Poi sono riuscito a comprare una vacca, poi un’altra, ho affittato un po’ di terra, cudíu la lervaia (rispettavo la briciola). Nel 1924 mi sono sposato e ho avuto quattro figli.