Giovanni Allinio, San Michele di Cervasca, classe 1895, contadino

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Bartolomeo Ristorto, San Michele di Cervasca, classe 1893, contadino
4 gennaio 2017
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Giuseppe Daniele, nato a Cherasco, classe 1887, contadino
4 gennaio 2017

Giovanni Allinio, San Michele di Cervasca, classe 1895, contadino

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dal web

A contarla in fretta sono andato da permanente nel 21° artiglieria da campagna, con Michel ‘d Cicu, Vincens ‘d Magnet, Bepi e altri. Mio fratello Trumlin era in America del nord, San Francisco di California, io ero di terza categoria. Ventidue giorni a Piacenza, poi mi trasferiscono al 63’ fanteria a Salerno. Là divento l’attendente del maggiore comandante. Ma un brutto giorno mi fanno la visita medica, mi vestono subito per il fronte. lo sto piangendo quando arriva il maggiore: «Cosa hai combinato? – mi dice, – ti avevo detto che in mia assenza non dovevi lasciarti comandare da nessuno, non dovevi passare la visita medica. Adesso non posso piú fermarti, devi andare al fronte». Però il maggiore mi insegna bene: « Metti i sigari in un bicchiere d’acqua, fatti furbo, fatti venire il cardiopalma ».
Raggiungo Monfalcone, poi il Monte Sei Busi, un affare, quanti morti…, la terra della trincea era rossa come le tegole, argillosa, avevamo sempre la faccia sporca. Vado due volte all’assalto, uno spavento cosí… Gli austriaci erano a pochi metri. L’aiutante maggiore ci dice: «Coraggio, che all’una si va all’assalto. C’è il caffè e poi c’è l’assalto». Ma Dio Signore, dopo la prima golata il caffè non va piú giú, sentiamo già bum, è l’Italia che apre il fuoco, il Monte Sei Busi che diventa una grande fiammata. I tedeschi urlano: «Urrà, urrà». Buttano i razzi e si vede un ago per terra. Noi stesi fuori della trincea facciamo i morti. Poi il razzo si spegne e avanziamo di due metri. I reticolati mi imprigionano la giacca, ho le mani che sanguinano come una capra. Questa è la guerra della fanteria! Eh, era tremendo andare all’assalto; « Siamo già tutti morti», ecco cosa pensavamo in quei momenti. Piangevamo. Solo i piú anziani, come Maté ‘dla Bibia, non si disperavano tanto, loro erano già piú stagionati, piú scaltri. A noi il cuore saltava.
Allora ho incominciato a chiedere visita, mangiavo un sigaro e bevevo un bicchiere d’acqua. E’ cosí che ho ottenuto sei mesi di convalescenza. (..) Ma dopo un mese e mezzo che ero a casa sono venuti i carabinieri a cercarmi, ho dovuto raggiungere Salerno. Là il mio maggiore mi ha di nuovo voluto come attendente, mi ha fatto dichiarare inabile al servizio al fronte. Accompagnavo i suoi due bambini a spasso, tenevo la casa pulita, servivo sua moglie.