di Cristina Di Giorgi http://www.ilgiornaleditalia.org/news/la-nostra-storia/868705/L-ultimo-Caricat–la-vittoria.html#.Vdq7egpIe2w.facebook
Nell’anniversario di un episodio bellico che rappresenta un esempio di eroismo, coraggio e valore d’altri tempi – la carica, l’ultima a cavallo, del Savoia Cavalleria – riproponiamo un approfondimento pubblicato sul nostro giornale che ne ripercorre la storia. Con l’orgoglio di sempre nei confronti di chi, con semplicità e valore, ha reso grande la Patria.
Cavalleria. Una specialità militare dal sapore antico, che riporta a tempi in cui la guerra si faceva affrontando il nemico in campo aperto. Niente a che vedere dunque con le battaglie moderne, vinte o perse a distanza soprattutto grazie a ritrovati tecnologici dal potenziale distruttivo e mortale. Quando ancora il coraggio dell’uomo, che nell’impeto dell’assalto diventa un tutt’uno con il suo cavallo, conta ancora qualcosa, l’Italia scrive una pagina gloriosa della sua storia: è il 24 agosto 1942 e sui campi di girasole nei pressi del piccolo villaggio russo di Isbuscenskij, il Savoia Cavalleria, sciabole alla mano e stendardo al vento, compie una delle ultime epiche cariche del mondo, lanciandosi contro i russi armati di mitragliatrici e mortai.
Gli italiani dell’ARMIR (Armata Italiana in Russia) hanno il compito di presidiare e difendere l’area del Don: il 20 agosto un’offensiva nemica riesce a sfondare e le nostre truppe a cavallo devono contenerla ed arrestarla. Il Savoia Cavalleria, insieme al 1° gruppo di artiglieria a cavallo Voloire, ha l’ordine di conquistare la quota 213, un’altura da cui far partire l’attacco alle colonne russe. Raggiunte le vicinanze dell’obiettivo la sera del 23 agosto, il comandante Alessandro Bettoni dispone lo schieramento del campo in quadrato, con le armi rivolte verso la collina che la mattina seguente sarebbe stata occupata. Durante la notte, di nascosto, 2500 soldati della fanteria siberiana si trincerano a semicerchio a circa un chilometro di distanza, pronti per attaccare di sorpresa. Sono scoperti, quasi per caso, dalla pattuglia inviata in avanscoperta dall’accampamento italiano poco prima dell’alba, che ha un primo scontro a fuoco con le sentinelle sovietiche. A quel punto i russi si scatenano: l’area occupata dagli italiani viene investita dal fuoco di mortai, mitragliatrici, cannoni e parabellum. Nonostante la violenza dell’attacco, gli uomini del Savoia cavalleria mantengono i nervi saldi e rimangono compatti al loro posto. La loro reazione non si fa attendere: le batterie a cavallo, disposte a protezione del campo, rispondono alla pioggia di colpi che li ha investiti, facendo inizialmente arretrare i sovietici. Che sono però comunque favoriti dal numero maggiore di uomini a disposizione e dalla potenza di fuoco nettamente superiore.
“Il colonnello Bettoni – scrive Roberto Biagioni – non ha dubbi: il Reggimento, che conta 700 elementi, deve caricare se vuole avere qualche possibilità di vittoria”. In un primo tempo il comandante pensa di guidare personalmente la carica di tutte le forze a disposizione ma poi opta per l’attacco iniziale di un solo squadrone: il Secondo, guidato dal capitano Francesco Saverio De Leone al quale si unisce, volendo assolutamente partecipare all’azione, il maggiore Manusardi, che fino a poco prima lo comandava. I cavalli scalpitano e anche tra gli uomini, consapevoli che quella sarebbe stata una giornata storica, l’eccitazione è al massimo. “Lo squadrone – scrive Lucio Lami – riaffiorò all’improvviso dal leggero avvallamento vicinissimo al fianco sinistro del nemico: un attimo d’attesa, poi: ‘Galoppooo!’. E subito dopo: ‘Caricaaat!’, un grido al quale rispose un coro fragoroso: ‘Savoia!’. Il boato coprì il frastuono della carica e giunse nitido fino al Reggimento. Il galoppo divenne allora carriera sfrenata e i plotoni irruppero come un fiume straripante sulle linee nemiche gridando, sciabolando, sparando, lanciando bombe a mano. I cavalli sembravano guariti dalla fatica e rampavano schiumanti, saltando trincee e nidi di mitragliatrici, cacciandosi a frotte verso l’obiettivo indicato dallo sprone e scomparendo entro enormi nubi di polvere, seguiti dal tuono del loro zoccolio e dal crepitare furioso delle armi”. L’attacco del Secondo squadrone coglie i sovietici completamente di sorpresa e nonostante i molti feriti e caduti, la carica non si arresta. Il gruppo infatti, “rimasto isolato dietro la linea nemica, compie una seconda carica per rientrare nelle sue linee. I russi in buona parte si sbandano, ma comunque ancora tengono il terreno”.
A quel punto il comandante del Reggimento manda avanti, a piedi, il quarto Squadrone comandato dal capitano Silvano Abba che, sebbene da subito gravemente ferito, continua a dirigere l’azione finché non viene falciato (“Aveva un forellino rosso all’altezza del cuore e sulle labbra il suo inconfondibile sorriso” disse chi lo vide morire). Per tale eroico comportamento, viene insignito della Medaglia d’Oro al valor militare alla memoria. Per spazzare via le ultime resistenze sovietiche, il colonnello Bettoni ordina la carica anche al terzo Squadrone del capitano Marchio. Si unisce all’assalto, con gli addetti al comando di gruppo, anche il maggiore Litta Modignani, lui pure in seguito decorato al valor militare insieme al suo aiutante maggiore sottotenente Emilio Ragazzi. Entrambi perdono la vita combattendo. Un attacco anche in questo caso violentissimo. “I cavalli, correndo all’impazzata, non si fermano nemmeno davanti ai colpi dell’artiglieria.
Lo squadrone irrompe sul campo di battaglia nel mezzo del fronte sovietico, che intensifica la reazione. Secondo le testimonianze, i cavalli galoppano furiosamente, talvolta pur feriti, mentre i cavalieri sciabolano e sparano coraggiosamente in mezzo ai russi in evidente difficoltà. A cinquanta metri dal nemico – scrive Nazareno Giusti – le narici dei cavalli sono dilatate e si avverte il ritmo del loro affanno, mentre le fiamme azzurrognole delle mitragliatrici non danno tregua. A pochi metri dall’impatto però, molti sovietici alzano le mani. Altri fuggono, altri ancora tentano una difesa disperata”.
La battaglia si conclude tra le grida dei cavalieri del terzo Squadrone, che sono riusciti a mettere in fuga le truppe siberiane che ancora resistevano. Il Savoia cavalleria è riuscito a conquistare la vittoria sul campo. Sono da poco passate le nove del mattino quando finalmente il fumo si dirada. Sui campi di girasole sono rimasti 32 caduti italiani, un centinaio di cavalcature e 52 feriti (molto più grave il prezzo pagato dai russi: 150 morti, 300 feriti e circa 600 prigionieri, molti dei quali con ferite da sciabola). Tra i sopravvissuti, orgogliosamente, passa di bocca in bocca una frase: “Savoia ha caricato”.
Per l’incredibile coraggio dimostrato, al Reggimento viene conferita lamedaglia d’Oro allo stendardo, oltre a numerose decorazioni (due medaglie d’oro alla memoria, due ordini militari di Savoia, 54 medaglie d’argento, 50 medaglie di bronzo, 49 croci di guerra, diverse promozioni per merito di guerra sul campo) ad ufficiali e cavalieri particolarmente distintisi nella gloriosa Carica. Che ha avuto come risultato “l’allentamento della pressione dell’offensiva russa sul fronte del Don, che consentì il riordino delle posizioni italiane e la salvezza di migliaia di soldati dall’accerchiamento”.
Il coraggio dimostrato viene infine riconosciuto agli italiani anche dall’alleato tedesco, notoriamente avaro nel riconoscere meriti sul campo ai nostri soldati: “Noi – commentano alcuni ufficiali germanici che hanno assistito da lontano alla battaglia – queste cose non le sappiamo più fare”. Il colonnello Bettoni accetta le loro parole e li ringrazia “e fa spiegare ancora una volta lo stendardo. Poi raduna i suoi uomini e ordina di presentare le armi in direzione di quota 213”. Poche ore dopo dall’ospedale militare in cui sono stati trasportati i feriti, arriva un messaggio del capitano Marchio che dice: “subita amputazione braccio. Nella fierezza del dovere compiuto, formulo voti augurali maggiori glorie glorioso Stendardo”.