di Valido Capodarca
Luigi Adelmo Lodovici, (“Sor Gì” per gli amici) di Tolentino, classi 1895, 95 anni al momento del racconto, aveva preso la patente da civile, nel 1915, prima di partire per la guerra. Per tutta la durata del conflitto avrebbe fatto l’autista di autocarro, il mitico Fiat 18/BL. Gli autisti venivano guardati con disprezzo dagli altri soldati, in quanto li consideravano come imboscati, eppure erano essi i primi bersagli delle artiglierie nemiche. Della sua lunghissima testimonianza, leggiamo questo stralcio (da “Ultime voci dalla grande guerra”).
“Lungo la strada, all’improvviso, si levò un gran fetore. Scappammo a piedi per i campi pensando ad un attacco con gas asfissiante ma, assicurati che ciò non fosse, tornammo sui nostri passi. In una trincea abbandonata, scorgemmo il cadavere di un soldato tedesco. Al suo polso spiccava un orologio ed io glielo tolsi, per tenermelo a ricordo di quella giornata. Un altro soldato ebbe la malaugurata idea di sfilare la cinghia che quegli portava alla vita. Evidentemente, quella era l’elemento che teneva ancora assemblata una massa di carne in decomposizione. Infatti, essa era stata appena allentata, che il cadavere si disfece, mandando un lezzo terribile. Via! un salto in macchina; scappammo per non tornare più.
Le battaglie intanto continuavano e il numero dei morti e dei feriti aumentava di giorno in giorno. Gli aeroplani continuavano la loro opera di distruzione e il lavoro di noi automobilisti si faceva sempre più gravoso.
Un giorno, mentre mi trovavo in sezione a pulire la macchina al termine di un viaggio, mi venne impartito l’ordine di recarmi a caricare dei morti, per portarli in un cimitero poco distante. Partii subito e mi recai al Monte Cucco, caricai e ripartii all’istante. La stanchezza e il sonno si impadronivano di me; guidavo come un sonnambulo, senza sapere dove andare. Più di una volta fui costretto a fermarmi, chiudere gli occhi per pochi minuti per poi proseguire.
Spossato, giunsi a destinazione. Non appena gli addetti ebbero terminato di scaricare il camion, mi sdraiai sul cassone, dove poco prima c’era il mio macabro carico.
Dopo circa un ‘ora di sonno mi svegliai, destato da un qualcosa di duro e fastidioso che mi comprimeva la schiena. Tastai per accertarmi di cosa fosse, e toccai un oggetto morbido e gelato. Ripensai al trasporto da me effettuato poco prima, guardai e, al chiarore di un fiammifero vidi una mano, sola. Si può immaginare il mio trasalimento! Mi feci coraggio, mi recai al vicino cimitero, con un piccone scavai una piccola buca e ve la deposi. Ciò fatto, tomai al camion e dormii fino al mattino.”
Il conto di Luigi Adelmo Lodovici con la Grande Guerra non si chiuse nel 1918. Dal 1994 fino alla morte, avvenuta a 105 anni nel 2000, egli sarebbe stato protagonista di altri episodi singolarissimi che racconterò domani.