Alessandro Scotti, nato a Montegrosso d’Asti, classe 1889, esponente del partit dei contadini d’Italia

image-1
Di Candia Emanuele “Marinaio Militarizzato”
4 gennaio 2017
11998933_769801753148845_3209990951328756367_n-1
Giuseppe Bruna, nato a Vignolo, classe 1898, contadino
4 gennaio 2017

Alessandro Scotti, nato a Montegrosso d’Asti, classe 1889, esponente del partit dei contadini d’Italia

11998933_769801753148845_3209990951328756367_n

dal web

La guerra del ’15. Ero interventista ero sottotenente degli alpini. Appartenevo a una famiglia di patrioti. Mio padre era stato bersagliere con La Marmora e poi con Cialdini; un mio fratello aveva preso parte alla guerra d’Africa nel 1896, il mio insegnante elementare, il maestro Camera, era un maestro risorgimentale.  Ecco, sono stato educato in questo ambiente. Quando sono partito per il fronte mio papà mi ha detto: «Io sono arrivato fino all’Isonzo, tocca a te andare al di là».  Il mio sogno era di conquistare Trento e Trieste. [..]
Nel 1916 ad Aosta, mi assegnano cento uomini, tutti valdostani di un «reparto complementi». Li accompagno al Pasubio, dove ci assegnano al battaglione Cervino, 33° compagnia. La nostra 5° divisione la comanda il generale Graziani, il vecchio, un uomo valorosissimo ma duro.La sera del 9 ottobre il generale Graziani ha notizia che gli alpini di una compagnia del battaglione «Monte Berico» hanno gridato «Viva la nebbia», nell’imminenza di un assalto: « Viva la nebbia», perché speravano che l’assalto ve­nisse rimandato. Il generale raggiunge subito le linee, e fa legare con le funi da carro tutti i novanta alpini della compagnia del «Berico». Poi raduna gli ufficiali del battaglione, perché assistano alla lezione. Fa sfilare di fronte ai novanta una compagnia armata, ordina che la compagnia si schieri per la fucilazione.Intervengono i cappellani militari, la trattativa dura un quarto d’ora, il generale ridimensiona il suo programma, impartisce un nuovo ordine: «Allora ne faccio fucilare dieci, si proceda alla decimazione, uno ogni dieci faccia un passo avanti».  Altro intervento dei cappellani militari, e finalmente la decisione definitiva:«Se mi prendete il Dente del Pasubio vi considero tutti assolti. Altrimenti, dopo l’assalto, si procederà alla fucilazione». Si va all’assalto, gli alpini del «Berico» li vedo a cadere quasi tutti nel massacro. Io devo occupare il Groviglio, un mammellone alle spalle del Dente. La prima ondata scompare al completo. Con la seconda ondata arrivo quasi in cima al Groviglio, mi guardo attorno, siamo rimasti in pochi, quattro alpini e un fante della brigata «Liguria», il fante da dove viene non lo so. Allora mi corico sui rododendri, metto la mia testa al riparo sotto il corpo del tenente Righetti, morto nella prima ondata. Con l’imbrunire, via, io e i quattro alpini superstiti rientriamo nelle nostre linee. Mi hanno poi dato una medaglia di bronzo perché ho fatto il mio dovere in pieno.
Poi è arrivata la neve, sei metri di neve. Ho trascorso l’inverno a cinquanta metri dal Dente del Pasubio, in una stanzetta di neve, leggendo Fogazzaro. Gli austriaci erano a cento metri. Se uno metteva fuori la testa, partiva!
Nel 1917 ho chiesto di andare volontario negli arditi, nel gruppo comandato dal colonnello Testafuochi, sempre con il battaglione «Cervino».Ancora assalti e contrassalti, prima alle Melette, poi a Monte Fior. [..]
Se i miei soldati sentivano quella guerra? Ce n’erano degli uni e degli altri. Tutti l’accettavano, il dovere era il dovere. Hanno poi cominciato a mormorare dopo Caporetto. Borbottavano sempre, ma il dovere lo facevano, e resistere resistevano.  Non ho mai visto nessun soldato a scappare. Io la guerra la vivevo con entusiasmo, per vincerla. Noi dal Pasubio vedevamo Rovereto, io combattevo per arrivare a Trento e Trieste. Dicevo ai miei soldati: «Più la vinciamo questa guerra, più finisce presto ». Certo massacri ce ne sono stati tanti. La colpa era di Cadorna che non aveva genialità. La guerra l’hanno fatta i montanari e i contadini, l’80 per cento del sangue versato in guerra era sangue contadino. Ufficiali di carriera ne ho visti pochi o nessuno in prima linea, erano tutti negli uffici, la guerra l’hanno fatta gli ufficiali di complemento e i sergenti vecchi. Ai contadini avevano promesso la terra, anch’io in parte ho creduto nelle promesse della terra ai contadini.Nell’agosto 1919 ho scritto sul «Popolo d’Italia»: «Noi dovremmo fare un governo con maggioranza contadina».