( Parte prima)
“Ho combattuto come ufficiale dell’esercito italiano in Croazia e sono stato rinchiuso in ben undici lager,tra cui un campo di punizione”.Così inizia il suo racconto Angelo Manta,uomo di provata moralità,pluridecorato per il particolare comportamento tenuto nei campi nazisti.
La sua storia è la diretta testimonianza di una forma di Resistenza ben più difficile di quella armata condotta sui campi di battaglia,contro quei nemici che,essendo uomini,avevano la stessa possibilità di vincere. La sua è stata una lotta contro la morte,l’egoismo,l’abbandono interiore di chi non vuole più combattere,contro l’indifferenza dei connazionali.Per farci meglio intendere la sua storia,Angelo Manta ci porta indietro nel tempo,in quel lontano 1943 quando,in luglio,avvenne lo sbarco alleato in Sicilia.Il 25 dello stesso mese Mussolini venne messo in minoranza dai gerarchi del suo stesso partito e,fatto destituire,venne arrestato ed esiliato sul Gran Sasso.Si instaurò il governo Badoglio il quale negoziò segretamente,con le potenze vincitrici,l’armistizio,reso noto solo l’8settembre.In conseguenza di ciò,i tedeschi,che prima erano alleati,diventarono nemici.In questo contesto si inserisce il nostro protagonista che,nel periodo in cui fu portato a termine l’armistizio,combatteva come ufficiale nell’esercito del Re a Zamet( Croazia).L’Italia era sconvolta da movimenti politici rilevanti che avrebbero deciso il destino del Paese stesso.Forse dimenticati,forse emarginati,i soldati che combattevano in Croazia contro i partigiani di Tito nella confusione creatasi l’8 settembre non ebbero più ordini dai loro comandanti.Improvviso e incompreso arrivò l’ordine di allearsi con i Partigiani per difendere la città di Fiume dai tedeschi.Ancora sconvolti e in preda ad una logorante confusione,i soldati italiani si preparavano alla lotta contro i nemici.” Un grosso reparto di soldati avanzò verso di noi-afferma sempre Angelo Manta-in formazione di combattimento.Con sorpresa scoprimmo che erano italiani e pensando che volessero unirsi a noi,nessuno osò sparare.In qualità di ufficiale comandante del reparto mi diressi verso il loro Tenente per rendere i convenevoli di circostanza.Improvvisamente venimmo accerchiati e,quando io porsi il mio saluto,egli invece di darmi la mano mi disse di dargli la pistola.Mi puntarono le armi,fui catturato e rinchiuso.Il destino disegnato per me dal nemico fu quello di essere fucilato.