NO’ STE’ A VEGNIR SU, CHE VE COPEMO!

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NO’ STE’ A VEGNIR SU, CHE VE COPEMO!

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di Valido Capodarca

Ogni volta che, nel corso delle mie conferenze, racconto questa storia, mi vengono i brividi, e coloro che l’hanno già ascoltata in una conferenza precedente, mi chiedono di ripeterla.

E’la primavera del 1993. Da poco tempo il Comando del Corpo Automobilistico dell’Esercito, al quale appartengo, mi ha affidato l’incarico di scrivere la Storia del Corpo stesso. Alla fine verranno pubblicati 3 volumi, ma ora io sono alle prese con il Primo Volume. In esso, il capitolo più corposo è dedicato all’attività degli automobilisti nel corso della Prima Guerra Mondiale. Così, per documentarmi, soprattutto per mostrare quali erano le strade sulle quali si muovevano i nostri automezzi, mi reco sull’Altopiano di Asiago. A Farmi da preziosissima e illuminante guida è il mio amico forestale Vittore Lunelli, di Lavarone. 

Quella che vediamo, fotografata in quel giorno, è una strada austriaca. Devo riscontrare che le strade austriache sono più curate e rifinite di quelle italiane, dove mancano muretti di delimitazione, paracarri, ecc.

Dopo aver visitato strade, trincee, fortificazioni, paesaggi lunari ancora crivellati dai crateri delle bombe, Vittore mi fa fermare l’auto.

“Guarda!” mi fa il forestale. Davanti a noi c’è una collina di una uniformità che spaventa. Per almeno un chilometro a destra e sinistra e trecento metri verso la sommità della collina, il paesaggio non presenta un solo albero, non un cespuglio, non un sasso, non il più piccolo avvallamento: solo erba, ovunque erba, tutta uguale, che in quel momento il vento sta pettinando rendendola ancora più uniforme. Mi viene da pensare che se sei lepre e incontri un cacciatore, sei perduto: per centinaia e centinaia di metri non avresti dove nasconderti.

“Lassù – prosegue Vittore indicando in alto il crinale della collina – c’era la trincea austriaca. Qui in basso, proprio dove siamo noi, c’erano un reggimento italiano, che aveva l’ordine di impossessarsi della trincea nemica. Ma gli austriaci che stavano lassù, erano quasi tutti degli stessi paesi di questi quaggiù; molti erano amici, o erano stati compagni di scuola. Così, mentre gli italiani aspettavano l’ordine di attacco, gli austriaci da sopra gridavano loro, nel comune dialetto veneto: NO STE’ A VEGNIR SU, CHE VE COPEMO! (non venite su, che vi ammazziamo!)”.

Continuo a fissare quel paesaggio d’un verde ipnotizzante, e provo ad immaginare qualche migliaio di ragazzi italiani costretti a percorrere quei trecento metri in salita, senza la minima possibilità di gettarsi a terra e ripararsi perché, anche distesi, sono pienamente visibili, il tutto sotto il fuoco delle mitragliatrici austriache che hanno una eternità di tempo per falciare chi si fa loro incontro. Mi volgo di nuovo verso l’amico Vittore:

“Non mi dirai che qualcuno sarà stato così pazzo da dare un ordine del genere!”

“No? Vieni a vedere!” mi risponde Vittore, dirigendosi verso un cippo commemorativo a una decina di metri da noi e, quando siamo dall’altra parte di esso: “Leggi”

(chi è in possesso della dicitura e dei dati precisi farà cosa utile a tutti i lettori se li vorrà trascrivere; io non ritrovo più la foto scattata a quel cippo e devo andare a memoria; i numeri non sono esatti, ma vicini a quelli reali) QUI (c’è scritto più o meno) il giorno …. Il Reggimento di fanteria X.X combattè eroicamente ecc. ecc. Sacrificarono la loro vita per la Patria: Ufficiali: 232; Sottufficiali e soldati: 1321.

“Ecco – conclude Vittore – ora sai se quel comandante di reggimento ha dato o no l’ordine di attacco. E stai pur certo; mentre tutti i suoi uomini sono morti qui, quel colonnello sarà stato subito promosso generale, perché – sappi – durante la Prima Guerra Mondiale gli ufficiali facevano carriera sulla base del numero di morti; non nemici, ma i propri, perché se hai avuto tanti morti significa che hai saputo motivare bene i tuoi uomini”.