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I VECCHI REDUCI PARLANO DEI LORO NEMICI
2 gennaio 2017
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NO’ STE’ A VEGNIR SU, CHE VE COPEMO!
2 gennaio 2017

LE FUCILAZIONI

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di Valido Capodarca

Avvertenza: queste storie sono stralci tratti dal mio libro “Ultime voci dalla Grande Guerra”. Non sono la storia della Prima Guerra Mondiale, ma storie di uomini quasi centenari così come gli stessi la ricordavano a 75 anni di distanza.

Sandro Cerri, classe 1894, di Piacenza, per tutta la durata della guerra svolse le mansioni di autista. Possedendo egli una macchinetta fotografica, la sua è forse la più ricca collezione privata di foto sul tema. Così, a 96 anni, racconta l’episodio.

“L’11 giugno (mi pare di non sbagliare la data) ero al Comando con la vettura, in attesa di S.E. il Comandante. Questi arrivò, col suo aiutante maggiore, dandomi ordine di accompagnarli nella zona retrostante le linee trincerate, per una vicenda triste e dolorosa, tutta da non vedere.

Era avvenuto, nella notte, un ammutinamento presso il 141° e il 142° Reggimento. Si trattava di fanti provati da tante battaglie, stanchi all’inverosimile per i continui attacchi. Avevano sostenuto assalti terribili, con perdite senza precedenti, specie nella seconda metà di maggio, ma tutto questo poco contava: l’ammutinamento richiedeva una punizione esemplare. I caporioni, tutti del 141°, erano stati individuati. Vennero accompagnati su un grande spiazzo, disarmati ma con ancora le munizioni; durante la strada si sbarazzarono di esse, e questo era da considerare un altro grave delitto.

Seduta stante, per i dieci principali responsabili venne decisa la fucilazione a parte, in seconda esecuzione; prima avrebbero dovuto assistere a quella degli altri 18. Una scena terribile, straziante, inumana, ma la legge di guerra non risparmia e non perdona: il perdono è segno di debolezza e questa non è consentita.

Fra i fucilati, alcuni erano senza colpa, coinvolti nell’infame destino solo dalla malaugurata sorte della decimazione.

Il 141°, e tutta la brigata, già rinomata per il suo valore, si ricoprirono di gloria in azioni successive, ma quella volta era subentrato un mo¬mento di terrore, e il terrore fa impazzire. In Trentino avevo visto quasi impazzire un povero mulattiere che nella notte, col suo mulo, portava il rancio in linea, solo perché all’improvviso, nella fitta oscurità, gli era stata accesa una torcetta sotto gli occhi. Ci vollero diverse ore per ricondurlo alla tranquillità. Quell’abbaglio improvviso era stato, per lui, lo scoppio di un vicinissimo proiettile. Il medico del gruppo, dottor Fiorani, dovette praticargli una iniezione calmante, e solo al chiarore del giorno egli poté riprendere il suo cammino, e portare il rancio a chi lo aspettava da tempo.

Avevo accompagnato il generale alla triste incombenza. Scorsi il drappello dei condannati, il plotone d’esecuzione allineato. Dietro, era un plotone di carabinieri, e numerose autoblindo con le mitragliere puntate sullo stesso plotone d’esecuzione, per l’evenienza che questo non avesse voluto adempiere al suo compito.

Non volli assistere, volsi le spalle e mi allontanai verso l’auto. Il crepitio della fucileria pose fine allo strazio. Non mi sono bastati 73 anni tanti ne sono già passati — per dimenticare.”

Le fucilazioni sarebbero proseguite nei giorni successivi fino a un totale di 149 soldati. Sandro Cerri morì 5 anni dopo questa intervista, a 101 anni, ma non aveva ancora dimenticato.